«Stiamo vivendo nel mondo della post-verità popolato da fake news e fatti alternativi. Il pubblico crede in ciò che vuole e scarta tutto il resto. La verità è dura, costosa e noiosa. Le bugie sono facili, economiche ed elettrizzanti». Così ha dichiarato Amol Rajan, giornalista della stampa inglese, una vita divisa tra i network radiofonici della BBC e il quotidiano The Independent. La moltiplicazione delle notizie false nelle piattaforme online è diventata argomento ricorrente sulla stampa d’Oltremanica e il tema oggi è sui tavoli dei responsabili marketing, impegnati a investire nell’advertising certificato.

 

Il pericolo fake

Un gioco pericoloso: così ha titolato il The Guardian a proposito del rischio di infiltrazioni di fake news nelle campagne dei brand, rilanciando un sondaggio che ha coinvolto 8mila utenti americani. Dalla ricerca emerge come risulterebbe più facile cadere vittima di notizie false o fuorvianti quando si è convinti di poterle riconoscere. «La discrepanza tra la capacità percepita di una persona di individuare la disinformazione e la sua effettiva competenza potrebbe svolgere un ruolo cruciale nella diffusione di informazioni false. Le persone in media sono troppo sicure di sé», ha affermato Ben Lyons, dell’Università dello Utah. Ma se lato utente il rischio è a portata di smartphone, in che modo aziende e agenzie corrono ai riparti? Un rischio concreto è stato rilanciato anche dalla nuova edizione del rapporto internazionale Global Disinformation Index. La sfida del marketing contemporaneo si gioca sulla capacità di uscire dall’ambiguità di infodemia e fake news, evitando di incentivare questo fenomeno.

Il documento stima come gli inserzionisti forniscano inconsapevolmente almeno 235 milioni di dollari su base annuale a siti di disinformazione. Il 63% degli esperti dei media segnala livelli di preoccupazione elevati e il 42% teme l’impatto sulla reputazione della propria azienda. Anche se la maggior parte degli intervistati (73%) concorda sul fatto che i consumatori debbano essere accompagnati nell’evitare attivamente la disinformazione, meno della metà (47%) segnala che le aziende con le quali lavora ha scritto policy chiare su pubblicità e disinformazione. Ma c’è di più. Oggi più di otto consumatori su dieci – precisamente l’85% – smetterebbero di utilizzare un marchio se visualizzassero i suoi annunci accanto a notizie false o provocatorie.

 

 

A caccia di fake news

Ma come si sta responsabilizzando il mondo della pubblicità digitale per allontanarsi dalle fake news e quindi dalla perdita di credibilità? «Ormai è consolidato il livello di attenzione e di responsabilità e da tempo si lavora col controllo e con l’attenzione puntuale rispetto alle piattaforme nelle quali escono le campagne dei clienti. Adottiamo tecnologie per fare il matching incrociato e le scelte da parte dei brand, con le loro agenzie e i loro consulenti, sono studiate e monitorate. Il grado di sicurezza deve essere il più elevato possibile: non abbiamo una certezza di annullamento del rischio, ma possiamo limitarlo fino ad arrivare in molte campagne al 98%», dice Andrea Di Fonzo, Ceo di Publicis Media e Chief Media Officer di Publicis Groupe. Un lavoro di disambiguazione, e quindi di scelta delle piattaforme, che ridefinisce anche strategie e azioni.

«Il fenomeno delle fake news è di grande attualità tra gli operatori della comunicazione – racconta Zeno Mottura, Ceo di MediaCom Italia -. Il primo passo importante per cercare di arginare il fenomeno è stato compiuto dalle piattaforme che hanno introdotto sistemi di controllo, filtri, intelligenza artificiale e interventi umani in grado di verificare la veridicità o meno della notizia. Le tecnologie sono alla base delle attività di pianificazione, che consentono di essere più chirurgici rispetto al target a cui è rivolta la comunicazione. Le stesse tecniche vengono impiegate per contrastare e filtrare contesti poco sicuri per i brand, applicando veri e propri protocolli che dovrebbero fungere da “anti-virus” anche rispetto alle fake news. Ma la scelta a monte è di lavorare solo con player tecnologici in grado di garantire questo genere di livello di sicurezza»